S. Martino in Thermis
(s. Martino ai Monti)
Sulle rovine dei sontuosi bagni che il secondo dei Flavi inalzò sulle vestigie della casa d' oro, fu eretto questo antichissimo titolo. Il libro pontificale, benchè non sempre autorevolissimo documento, nella vita di s. Silvestro narra che questo papa; fecit in urbe Roma in praedio cuiusdam presbiteri sui qui cognominabantur Equitius, iuxta thermas domitianas quam titulum romanuomo constituit et usque in hodiernum diem appellatur titulus Equitii.
La chiesa adunque nei primi secoli della pace, e la cui origine si attribuisce al papa s. Silvestro, denominavasi il Titolo di Equizio, dal possessore del luogo in cui fu eretta. Da che risulta che in origine fu destinata a sacre adunanze, titulus o parrocchia non dedicata ad alcun illustre martire o confessore, compresi i due Martini, cioè il vescovo o il papa, poichè ambedue furono posteriori all' epoca dell' edificazione della chiesa. E ciò anzi conferma l' origine antichissima di quel titolo, anteriore all' epoca in cui le chiese si cominciarono a dedicare a questo o a quel santo personaggio. Ben presto il nome di Equizio fu sostituito da quello del papa dedicante e detto titulus s. Silvestri, dove questi raccolse circa l' anno 324 un sinodo contro Ippolito, Callisto e Vittorino, al quale intervenne il prefetto della città. Fra gli antichi nomi attribuiti a questa chiesa trovo i seguenti: in Orphea, de Monteria, de Montibus.
La chiesa eretta da s. Silvestro era al livello delle terme, assai più profondo e depresso dell' attuale, e ne restano tuttora le tracce grandiose al disotto della chiesa attuale. Sopra quella, oggi divenuta sotterranea, il papa Simmaco nel secolo V edificò l' attuale, che fu dedicata ai ss. Martino vescovo di Tours e Silvestro papa, come afferma nella biografia di quel papa il libro pontificale. Fu spogliato allora dei suoi ornamenti il titulus Equitii, e rimase poi nel volgere dei secoli totalmente abbandonato e sepolto nelle ruine, finchè nel secolo decimosettimo fu inopinamente scoperto. Nel secolo XVI manteneva ancora il tipo di quell' epoca, e vi si vedevano ancora i due pulpiti ossia amboni nei quali si leggeva l' epigrafe:
SALVO DOMINO NOSTRO BEATISSIMO
SERGIO PAPA IVNIORE.
Da che risulta che vivente era quel papa allorchè furono compiuti quei lavori, il che esprimevasi nelle epigrafi di quell' epoca colla formola salvo papa, non vivente papa. Ivi pure si leggeva il distico:
SCANDITE CANTANTES DOMINO, DOMINOQUE LEGENTES
EX ALTO POPULIS VERBA SUPERNA SONENT.
Al tempo d' Innocenzo III fu restaurata quella basilica, compresi i due amboni, sui quali si aggiunsero gli altri distici seguenti per opera del cardinale Uguccione:
UGUITIO SUMENS A CARDINE NOMEN HONORIS
PRESBYTER HAEC SPONSAE DEDIT ORNAMENTA DECORIS.
TEMPUS HABES OPERIS VENIENTIS SALUATORIS
ANNUM MILLENUM PRIMUM CONIUNGE DUCENTIS.
Leone IV, il successore di Sergio, fece dipingere le pareti della basilica ed ornò di musaici l' abside, sotto ai quali si leggeva il carme seguente:
SERGIUS HANC CAEPIT PRAESUL QUAM CERNITIS AEDEM
CUI MORIENS NULLUM POTUIT CONFERRE DECOREM
SED MOX PAPA LEO QUARTUS DUM CULMINA SISTIT
ROMANAE SEDES, DIVINO TACTUS AMORE
PERFECIT SOLIO MELIUS QUAM COEPTA MANEBAT
ATQUE PIA TOTAM PICTURA ORNAVIT HONESTE
COENOBIUMQUE SACRUM STATUIT MONACOSQUE LOCAVIT
QUI DOMINO ASSIDUAS VALEANT PERSOLVERE LAUDES
TALIBUS UT DONIS CAELESTIA SCANDERE POSSIT REGNA, QUIBUS MARTINUS OVANS, SILVESTER ET ALMUS
PRAEFULGIT, GAUDETQUE SIMUL CUM PRAESULE CHRISTO
QUORUM PRO MERITIS HAEC TEMPLA DICATA CORUSCANT.
Dalle quali parole apprendiamo che Leone IV circa l' anno 760 affidò la chiesa ai monaci perchè senza interruzione ivi salmodiassero. Abbandonata nel medio evo, fu affidata ai preti la quale la possedettero fino al secolo XIII, finchè fu affidata ai Carmelitani calzati. Nel secolo XVI il cardinale Diomede Caraffa, minacciando ruina, la racconciò, e dallo zio il papa Paolo IV vi fece di nuovo restituire l' antica stazione quaresimale. Sotto Pio IV s. Carlo Borromeo ne riparò il soffitto accrescendone lo splendore. Nel 1650 incirca il generale dei carmelitani Antonio Filippini impiegò il suo avito patrimonio oltre a 70,000 scudi romani per riabbellire di nuovo quella magnifica chiesa, ed in quei lavori fu dal Filippini rinvenuto l' antico titulus Equitii, che fece sgombrare dalle macerie, restituendolo all' antica venerazione, e colà volle esser sepolto il venerabile e dottissimo cardinale Tommasi, che fu già titolare della basilica. La facciata della chiesa fu riedificata nel 1676 da un altro generale dei Carmelitani, il padre Scannapicco, finchè nell' anno 1780 fu dal titolare di quell' epoca, il cardinale Zelada, un' altra volta restaurata colla spesa di oltre 35,000 scudi. Mantiene la chiesa il suo tipo basilicale, essendo divisa in tre navi da due ordini di dodici colonne di varî marmi e di varî ordini tolte da edifizî preesistenti. Due branche di scale presso il presbiterio conducono ad un oratorio sottoposto, donde si scende all' antica chiesa. Nelle pareti delle navi minori, negli spazî degli altari si ammirano stupendi affreschi, opera alcuni del Grimaldi di Bologna ed alti del famoso Gaspare Pussino o Doughet. Nella nave minore a sinistra si veggono due affreschi rappresentanti l' uno l' interno della basilica vaticana innanzi la demolizione incominciata sotto Giulio II, e l' altro quello della basilica lateranense.
Ai tempi di Sisto IV la chiesa chiamavasi s. Martino in s. Silvestro, o s. Martinello, e perchè in epoche anteriori fu ai due santi dedicata vi furono stabilite due stazioni, l' una nel giorno dedicato a s. Silvestro, l' altra in quello di s. Martino. Durante il periodo che la tennero i monaci Benedettini, appartenne al monastero cassinese. Il pavimento di questa chiesa nel medio evo fu risarcito con iscrizioni tolte ai cimiteri cristiani, fra le quali tre frammenti di una medesima epigrafe damasiana che oggi è murata nei pilastri del museo cristiano lateranense. In quei marmi si legge il nome di Furius Dionysius Philocalus, il celebre calligrafo del papa Damaso che pel suo pontefice compose l' alfabeto adoperato negli elogî dei martiri nelle catacombe. V' era anche il seguente frammento che fu copiato dal Severano e si legge nei suoi manoscritti della Vallicelliana:
LOVUS CAUDIO . . . . .
. . . MARTYRIS LAURENtii . . . . .
. . DAMASI COMMEN . . . . .
. . . DP . IN PACE . XV . K . . . . . .
Ma la maggiore parte di quelle iscrizioni, alcune delle quali stanno ancora nel pavimento, furono trascritte dal Mellini e raccolte nei suoi manoscritti che si conservano negli archivî della Santa Sede al Vaticano. Nel secolo XIV la contrada adiacente alla chiesa chiamavasi il carnaro, come ho trovato in un documento di quell' epoca. Minacciando rovina il soffitto, si viene questo attualmente riparando e risarcendo con ingente spesa.
Da Le chiese di Roma di Mariano Armellini 1891;
Raccolta Internet de Le chiese di Bill Thayer;
Raccolta Foto de Alvariis;